Credo si avverta un generale senso di paralisi durante la settimana santa come di qualcosa distaccati dalla quale non si può esistere. Una paralisi che riconduca tutto il da farsi a conformarsi alle tappe imprescindibili che la scandiscono. Non dico quelle dei primi tre giorni, il lunedì santo, il martedì santo, il mercoledì santo, che vede le famiglie meno tradizionali quasi escluse da un sentimento comune ma che comunque recuperano alcuni frutti delle tradizioni – come i “piatti” disposti sui sepolcri – confluendo, appunto, nella serata dei sepolcri del giovedì santo e in quella successiva della processione dei Misteri del venerdì santo.
Gesù sta morendo, mi dico, come posso rimanere a casa, come posso bere un bicchiere di vino con gli amici. Dall’uno all’altro polo l’atteggiamento più consono e che mantenga fisso un equilibrio per natura instabile nell’animo non si sa qual è, non tanto per essere un buon credente quanto più per aver colto il senso di questo evento. Vorrei essere un pellegrino e pregare al fianco del mio compagno su uno dei due inginocchiatoi posti ai lati di fronte agli altari dei sepolcri con la pianta dei piedi sporca, altrimenti la penitenza è sempre al di fuori di me, e continuerò ad essere uno spettatore.
Il pellegrino interrompe la vita, per poi riprenderla dopo due giorni. E questa rinuncia alla vita civile è un mistero. Ritirarsi a vita privata ed insondabile è un mistero e il cappuccio coi fori bucati all’altezza degli occhi è un monito di impenetrabilità. Lu pappamusciu non esiste per la folla anche se l’attraversa, egli sta solo nella preghiera.
È questa la tradizione che si tramanda. Oltre ogni corredo simbolico di oggetti, ricami e prassi chiamati coi loro nomi scolpiti nella pietra, la tradizione è quella dell’uomo che vuol pregare da anonimo. È l’uomo che dietro a quel cappuccio non ha nome né cognome. Ma è uomo che con la sua vita mortale si presenta di fronte all’uomo della Resurrezione e prega per dargli la forza di continuare, per sé, per i suoi cari, calato simultaneamente in un passato ciclico e in un futuro di cui non ne sa per natura le sorti.
Il Diario della Settimana Santa di Francavilla Fontana è a cura di Ritanna Attanasi.