«Questo libro serve ai giovani», dichiara Cosimo Zullo, autore de “Le lotte sindacali nel Brindisino (1971-1981) Dirigenti, memorie, avvenimenti”; ed è fatto per i giovani, tutti, in quanto la storia travalica la geografia, ma soprattutto per i giovani del Sud, ai quali è poco noto, se non ignoto, che anche per queste vie, queste piazze, abbiano marciato e tenuto comizi quegli uomini, quelle donne, allora giovani, da cui non ce lo si sarebbe aspettato: braccianti, contadini, contadine.
È fatto per i giovani sia per le dimensioni, trattandosi di un libro di poco più di un centinaio di pagine, sia per la sua natura di testimonianza, sia per il repertorio fotografico di cui si fregia. Le marce non sono solo quelle della Fiat, o del movimento studentesco. Le foto permettono di apprendere subito questo. Fiumi di persone, sia uomini che donne, sciamano con i cartelli in mano, o alla volta di grandi striscioni, con scritte a caratteri cubitali fatte di poche parole ma precise: dalla manifestazione di braccianti e coloni per rivendicare un adeguato prezzo dell’uva agli inizi degli anni ’60, a Cellino San Marco, a quelle a più riprese contro il caporalato, sino al giorno dei funerali delle tre giovani lavoratrici di Ceglie Messapica, nel maggio dell’80.
C’era stata un’ulteriore grande marcia a buon esito, contro ogni pronostico, stimata a centomila persone, a Brindisi, alla presenza del Segretario generale della CGIL d’allora, Luciano Lama, il 19 maggio 1978, dieci giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Moro, e dopo nemmeno un anno dall’esplosione dell’impianto chimico P2T. “La manifestazione terminò senza particolari problemi e i partecipanti abbandonarono agevolmente la piazza grazie a un’efficace organizzazione del servizio d’ordine. Fu una giornata memorabile, in cui furono riaffermati i valori della democrazia rappresentativa e in cui emerse l’ottimo rapporto tra il sindacato, la città di Brindisi e l’intero territorio provinciale”.
Lo stesso Zullo era giovane all’epoca dei fatti, specie quando entrò nel vivo della sua militanza. Nel ’76, di rientro dal servizio militare, all’interno di un periodo di complessiva riorganizzazione, gli fu assegnato il compito di responsabile della zona Centro della Federbraccianti, interessando i comuni di Mesagne, Latiano, Oria e Francavilla. “In quel periodo la CGIL aveva avviato l’esperienza delle zone sindacali nel territorio e anche la Federbraccianti vi si era adeguata (…) La zona Federbraccianti operava nel contesto della zona centro CGIL, molto impegnata nell’iniziativa vertenziale soprattutto durante le lotte al caporalato (…)”.
In seguito al nuovo incarico, egli comincia a seguire l’evolversi della situazione non solo da spettatore – quale non lo era stato mai fondamentalmente – ma da partecipante, la cui delicata responsabilità consisteva nella mediazione, in prima persona, tra i lavoratori e i rappresentanti della Legge, di fronte a cui presentare organicamente l’insieme delle ingiustizie a cui i lavoratori erano sottoposti, perlopiù sottoposte, trattandosi per la stragrande maggioranza di donne in tema di caporalato. “Da sempre le donne hanno avuto un ruolo importante nelle nostre campagne. Con circa sessantamila ettari di oliveto la nostra provincia ha visto negli anni Cinquanta circa trentamila donne di tutte le età partecipare alla raccolta a mano delle olive. Mamme, nonne e molte volte anche bambine di dieci, dodici anni (…)
Nel mese di febbraio dello stesso anno, scaduto il contratto delle tabacchine, il movimento di protesta si ampliò accogliendo anche le loro rivendicazioni che vertevano in particolare nel superamento del cottimo quale tipologia di contratto utilizzato (…) Questa fase di rivendicazioni si protrasse per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta al termine della quale iniziarono a svilupparsi i primi processi di modifica della raccolta delle olive (…) Iniziarono le migrazioni dalla collina brindisina per andare a lavorare fuori provincia. Proprio in questi flussi migratori si insediò il fenomeno del caporalato che raggiunse il suo culmine negli anni Ottanta quando centinaia di pulmini, gestiti per l’appunto dai caporali, battevano le strade provinciali (…) per dirigersi verso le zone irrigue e più moderne come il Metapontino”.
Zullo racconta come si svolgevano le azioni in prima linea nel contrasto al caporalato: «Le notti stavamo sulle strade a fare i picchetti per bloccare i caporali. Ci sono state notti in cui abbiamo subito assalti dai caporali armati con l’intenzione di aggredirci. Anche quando le strade erano bloccate, i caporali alla guida dei pulmini vi passavano ugualmente con tutti i picchetti. Era una sfida continua». Il racconto esplicito dei picchetti di notte, e più implicitamente le molteplici manifestazioni organizzate in prima persona, si saldano ad una breve ma esaustiva indagine dei meccanismi interni di un preciso sistema produttivo, riuscendo a ricreare un avvincente resoconto storico. Quando e se ci si chiede perché le terre sono oggi semideserte, non è solo questione di una progressiva ed inesorabile meccanizzazione del lavoro, ma il risultato di una successione di eventi concatenati la cui cronologia è qui raccontata, rivelandosi insospettabilmente piacevole.
Due importanti risultati storici a suggellare l’intensa attività sindacale giunsero con la Legge 203 del 1982 che dava la possibilità di trasformare la tipologia contrattuale della colonia in quella dell’affitto, di costituirsi in cooperativa e prevedeva una migliore ripartizione dei prodotti; e con la Legge 199 del 2016, volta a contrastare il caporalato, a introdurre forme di supporto per i lavoratori stagionali, in particolare attraverso l’arresto in flagranza per chi commette reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con violenza e minacce, pene più severe per chi utilizza i caporali ma anche attraverso il potenziamento della “Rete del lavoro agricolo di qualità” e trasporti più adeguati.
Però è ormai irreversibile lo scollamento tra quella gioventù e l’odierna. Dalla piccola città semmai si passa ad una ancora più grande e, in generale, l’ambizione, per quanto eterogenea, non contempla più il lavoro nei campi, se non indiscutibilmente in ristrette percentuali.
Il sentimento ambizioso, velato di un misto di rammarico e rancore, ad andare via e lasciare la propria terra non è infondato, e anzi ha radici che affondano nel passato. Leggiamo a pagina 60: “Delle sette zone salariali in cui era divisa l’Italia, Milano e Torino si collocavano nella prima zona mentre Brindisi, insieme ad altre città meridionali, nella settima. Pertanto, a parità di prestazioni, e quindi stesso impiego e monte orario, il salario di un lavoratore a Milano era di gran lunga superiore a quello di un lavoratore a Brindisi”.
La cultura contadina si legava ai canti, ai balli, ai rituali colturali. La gente che continua a lavorare la terra c’è, ma rimane più defilata. Pochi ragazzi cantano gli antichi stornelli, nell’entroterra della Valle d’Itria perlopiù, o nell’aria grecanica del Grecìa salentina, e ancor meno della civiltà contadina autoctona se ne fa oggetto di ricerca storica. Tutto congiura oggi nell’opinione pubblica per lasciare la propria terra, cioè questa, il “Sud”, dove “non c’è lavoro”. Le bellezze paesaggistiche appartengano alla calda stagione.
Tuttavia non mancano le eccezioni: di chi raggiunge la costa anche d’inverno, di chi fa tesoro della civiltà contadina, in veste di studioso o di semplice curioso, di chi lavora la terra e cerca di investire in essa confrontandosi con nuove difficoltà dettate da un tempo storico diverso rispetto a quello tratteggiato con cognizione di causa dall’autore nel suo libro.
Se oggi tali eccezioni ci appaiono tali, è perché in precedenza l’adesione al lavoro della terra sfiorava la fisionomia del suffragio, coinvolgendo migliaia di lavoratori e non.
Per questo ritorniamo a Cosimo Zullo e al suo lungimirante lavoro politico di quegli anni, innanzitutto, e al suo lavoro divulgativo intrapreso oggi, affinché i giovani conoscano le condizioni lavorative loro precedenti, da cui inconsapevolmente discendono, e soprattutto come ad esse ci si è approcciato.