Quando abbiamo introdotto sui social la rubrica Lingua Nostra, curata dal preside Enzo Garganese, abbiamo parlato del dialetto francavillese come di una lingua viva e vitale che dà colore alla nostra quotidianità. Ci scrive il professor Franco Bottari che all’apprezzamento per l’opera del preside Garganese aggiunge una sua nota rispetto al rischio che il dialetto diventi invece lingua morta.
Invitiamo i lettori e altri cultori del dialetto francavillese a inviarci altri contributi in merito, auspichiamo una riflessione diffusa sul tema. Ecco intanto di seguito le parole di Franco Bottari, che ringraziamo.
“Questa rubrica mi porta a esprimere qualche considerazione in merito al nostro dialetto che, giustamente, definite lingua viva, di uso quotidiano. Purtroppo non è più così e, più o meno lentamente, sono sempre meno le persone che usano il nostro bel dialetto.
Ribadisco la parola ‘usare’ da contrapporre a ‘conoscere’, perché per molti il dialetto è divenuto una lingua morta, come il latino o il greco antico, e ricordano soprattutto vocaboli o espressioni isolate. Non deve essere così.
Perché il dialetto possa restare una lingua viva è necessario che le parole siano usate in un contesto comunicativo. Certo non è facile, ma è questa, a mio parere, la strada per salvare veramente il nostro dialetto, nostro grande patrimonio.
Accanto al gigantesco lavoro del prof. Enzo Garganese sul patrimonio lessicale, è opportuno prendere in considerazione il tentativo del prof. Giorgio Rosso di ricreare situazioni comunicative della vita quotidiana.
Questa operazione tesa a far rivivere il dialetto non è facile perché spesso certe espressioni sono riferite a situazioni del passato, non vissute dai giovani. Faccio un esempio: oggi chi comprende l’espressione ‘si la faci’ per indicare il luogo dove era possibile trovare un a persona? ‘Turicchiu si la faci alla putea ti Tizio, cretu all’orologio, alla cantina…’ “
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