Nella mattinata di giovedì 11 maggio, presso l’ITES Giovanni Calò di Francavilla Fontana si è tenuta l’iniziativa “Per non dimenticare. Francesca Morvillo Falcone, una donna che ha combattuto la mafia a costo della vita” organizzata dall’Associazione Antiracket di Francavilla Fontana, federata nella FAI – Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane.
L’incontro è stato l’occasione per presentare il libro “Francesca. Storia di un amore in tempo di guerra” scritto da Felice Cavallaro.
La seconda parte dell’iniziativa è stata tutta incentrata sulla FAI – Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane, sulle sue attività e sui suoi servizi, dallo sportello legale all’assistenza psicologica alle vittime di racket e usura con l’importante partecipazione e testimonianza di Luigi Ferrucci, Presidente nazionale della FAI.
Abbiamo intervistato Luigi Ferrucci per Paesituoi.news.
Dopo la pandemia da Covid e in questo momento di crisi economica dovuta anche alla guerra in Ucraina, molte imprese sono con l’acqua alla gola: ci può raccontare se e come si è evoluto il fenomeno di racket e usura in questi ultimi tempi?
Il Covid ha cambiato tutto il nostro mondo, in particolare durante le chiusure e il lockdown è ovvio che il fenomeno del racket si sia ridimensionato. Quello che sta emergendo maggiormente in seguito è che il fenomeno di usura, come la ripresa del racket, in alcuni territori per riaffermare il potere e il controllo sono sono diventati ancora più violenti. È chiaro che questa crisi economica non aiuta le aziende e anche le cosche sono state in difficoltà ma, abili come sono ad adattarsi ai cambiamenti, hanno saputo trarre profitto dalla crisi. Ad esempio, quando sono entrate in aziende in difficoltà con l’obiettivo di riciclare denaro di illecita provenienza, hanno avuto vita facile perché l’imprenditore in difficoltà che non riesce ad avere accesso al credito legale può rivolgersi a questi canali illegali.
Come è cambiata la FAI dalla sua nascita, grazie all’intuizione di Tano Grasso, ad oggi? Qual è il ruolo delle associazioni antiracket sui territori?
L’idea di fondo è quella di mettere insieme le persone che hanno denunciato per autogestire la propria sicurezza, l’idea che la vittima aiuti altre vittime a denunciare. Questo modello funziona e continua ad andare avanti. Fortunatamente la nostra è un’associazione dinamica, lo testimonia il fatto che io, dal 2019, sono stato appena riconfermato alla carica di presidente nazionale e quindi c’è un continuo avvicendamento delle figure che è sempre sinonimo di vitalità e di confronto interno, alla ricerca di un continuo ricambio che è necessario per la vita delle associazioni.
Perché le denunce sono così poche? È per la paura di subire ritorsioni, di rimanere soli dopo aver fatto i nomi? Cosa servirebbe per convincere alla denuncia? Perché gli imprenditori dovrebbero fidarsi dello Stato?
Oggi non ci sono scuse per non denunciare. Ci sono tutti gli strumenti per farlo in ragionevole sicurezza: le istituzioni ci sono, le forze dell’ordine sono al nostro fianco, ci sono le associazioni antiracket che consentono di non rimanere da soli. La stessa storia della FAI racconta che nessuno di noi è mai stato toccato, quindi il modello funziona. Purtroppo spesso c’è la convenienza a non denunciare. Significa che se io sono in un territorio a forte presenza mafiosa e so che se denuncio dopo mi si farà il vuoto intorno oppure se io, “collaborando” con un clan, aumento il mio fatturato, si sfocia nella collusione ma in tal modo io traggo un vantaggio dal pagare il pizzo perché, a fronte di quel pizzo, chiedo e ottengo dei servizi. Quindi si capisce che in questi casi è estremamente difficile ottenere la denuncia. Noi siamo dell’opinione che le vittime non sono tutte uguali in tal senso e con queste vittime bisogna essere decisi a fare in modo che capiscano che è sconveniente non denunciare.
Ci può dire cosa sta accadendo nel Salento e nelle zone più vicine in relazione al fenomeno estorsivo?
[Risponde insieme a Cosimo Torino, Presidente della FAI – Associazione Antiracket di Francavilla Fontana] Per quanto concerne la situazione in queste zone, riteniamo che il fenomeno del racket, così come inteso storicamente, si sia ridimensionato rispetto agli anni ’90. Anche perché la criminalità ha cambiato strategia abbandonando gli attentati e intraprendendo attività apparentemente lecite avviate e gestite con capitali di dubbia provenienza. Quando un’economia si sviluppa e si evolve, anche la criminalità si evolve.
Sulla base delle informazioni ricevute dai colleghi delle associazioni delle altre province salentine, la situazione è poco chiara perché nel Sud le estorsioni o i cosiddetti cavalli di ritorno sono fenomeni presenti. Poi c’è la zona lungo il litorale ionico dove spesso si verificano danneggiamenti o incendi dolosi, anche a cantieri e mezzi di lavoro. Ma abbiamo poche denunce. Purtroppo finché non ci sono denunce il fenomeno criminale è tutto da decifrare.
Quanto è presente e qual è il ruolo di una possibile “area grigia” di illegalità e di possibili connivenze nel mondo economico e produttivo sui territori?
Nei prossimi giorni a Napoli è prevista un’iniziativa sull’utilizzo dei fondi del PNRR perché è chiaro che quando ci sono questi grossi investimenti il pericolo è dietro l’angolo. E lì questa cosiddetta area grigia è quella che consente alla mafia di esistere perché quello che dà forza alla mafia è quello che mafia non è. C’è in corso anche una discussione sulla modifica delle leggi che regolano il fenomeno della concussione che in questo frangente può emergere ancora di più.
Quali le mancanze e quali i compiti della politica? E a livello più basso, il Sindaco e gli amministratori di una città di provincia come dovrebbero agire per prevenire e combattere i fenomeni di racket e usura?
Se noi andiamo in giro a raccontare la nostra esperienza, lo facciamo per dare un messaggio positivo: diciamo che si può fare. Senza dimenticare che le mafie sono forti laddove c’è la mancanza dello Stato. Quindi la politica deve fare investimenti nel sociale, nel lavoro, nell’istruzione affinché il terreno non sia più fertile per le mafie. Ci sono tanti territori che sono stati liberati ma quello che è mancato quasi sempre è quello che io chiamo il secondo tempo: l’investimento su un territorio ormai liberato perché non facendo questo non vengono meno quelle condizioni che hanno consentito la presa della mafia.
In assenza di atti criminali che attirino i riflettori, l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema di racket, usura e mafie sembra diminuire drasticamente. Qual è oggi l’atteggiamento dei cittadini verso questi temi? E quali sono i limiti e le potenzialità delle associazioni sul territorio?
Una delle cose che devono fare le associazioni è raccontare quello che succede, tenere alta la guardia. Perché quando non ci sono fenomeni eclatanti non vuol dire che la mafia non esiste, anzi. Per loro, per ovvi motivi, è meglio che non si faccia rumore. Quindi quello che bisogna fare, e noi cerchiamo di farlo in collaborazione con le forze dell’ordine e con la magistratura, è cercare di tenere accesi i riflettori sui territori e sulle insidie che in essi si annidano.