La mattina del Giovedì Santo il clero francavillese si reca in diocesi per prendere parte alla liturgia durante la quale si assisterà alla consacrazione degli olii nuovi.
Nel pomeriggio si celebra la messa in Coena Domini: qui si svolge la lavanda dei piedi, si distribuisce il pane benedetto e si svolge il blocco del battaglio delle campane. Così, da questo momento fino al giorno di Pasqua, le campane non possono suonare ed i riti e le processioni saranno regolate dalla trenula.
In passato, fin dall’apertura della chiesa al mattino, in sacrestia c’erano i cesti pieni di pane bianco e senza rotondità, impastato senza lievito e sale, pronto per essere benedetto e offerto ai fedeli. Questi non dovevano utilizzarlo come cibo per sfamarsi, ma ricordare che questo pane protegge come la Vergine. Infatti, veniva posto al capezzale del giaciglio e, legato con un nastrino e appeso al chiodo, era considerato rimedio contro ogni minaccia di temporale.
Durante la messa pomeridiana, alla consacrazione, sopra l’altare si alzavano due ostie che simboleggiavano il sole e la luna che si guardavano in quel giorno. In particolare, se non c’era la luna piena – o la quinta decima di marzo – non poteva essere la Settimana Santa e, di conseguenza, non si poteva porre il Cristo nel sepolcro. La sera del plenilunio si sperava che il cielo fosse limpido affinché, al tramonto, si potesse veder sorgere la luna, grande e rossa come il sole.
Accadeva che di sera non si vedesse chiaro e di conseguenza c’era chi si alzava presto al mattino per vedere i due soli, potendo trarre così buoni pronostici. Secondo altri, questa era iettatura ed avrebbe portato per tutto l’anno il freddo della luna e non invece il suo calore con il quale le piante ed i frutti sarebbero cresciuti rigogliosi.
La consacrazione delle due ostie avveniva il Giovedì e non il Venerdì Santo, in quanto quel giorno si ricorda la morte di Cristo. Subito dopo, una delle due ostie si riponeva – e si ripone tutt’ora – nei Repositori detti Sepolcri, addobbati con fiori e luci affinché i fedeli potessero adorarla.
La sera del Giovedì Santo un fiume di gente si riversa nelle strade per visitare i Sepolcri e quasi a guidar la folla ci sono i “pappamusci“, pellegrini scalzi e incappucciati, che nella mano destra stringono il bordone sormontato da una crocetta e nell’altra mano un rosario.
Dal colore della mozzetta e la scritta Decor Carmeli si intuisce che questi appartengano alla Confraternita del Carmine, dalla cui sagrestia escono in coppia e si avviano, secondo un giro prestabilito, nei vari Sepolcri.
Questa usanza era tipica dei Padri Carmelitani i quali, in Terra Santa, accompagnavano i Pellegrini nei luoghi di passione, ma dovettero abbandonare questa pratica una volta arrivati in Europa. Introdussero così la possibilità di visitare Gesù Sacramentato la sera del Giovedì Santo e la mattina del Venerdì Santo.
Una caratteristica di questa tradizione religiosa che cattura l’attenzione è il famoso saluto dei pappamusci, che avviene sia quando si incontrano per le strade del paese sia quando, dopo aver pregato inginocchiati davanti al Sepolcro, attendono l’altra coppia di pellegrini il cui arrivo è annunciato dal battere del bordone sul pavimento.
A questo punto, dopo aver salutato il Cristo, si alzano e, mettendosi gli uni di fronte agli altri, si scambiano un saluto incrociando le braccia. Così, la prima coppia esce e si reca in un’altra chiesa dove si svolge la stessa cerimonia.
Al loro passaggio da via Roma – quest’anno anche vicino al Carmine – ad attenderli e salutarli “sott’a lli suppénni” o sotto la statua di Sant’Irene, ci sono due bandisti che eseguono “Lu Perè“, una delle nenie più conosciute e tipiche della Settimana Santa.
Una volta terminato il giro, i pappamusci ritornano nel loro oratorio dove in passato trovavano un catino di rame rosso con dell’acqua per lavare i piedi prima e dopo il pellegrinaggio.
Nella notte del giovedì i confratelli del Carmine, insieme a due bandisti, si recano presso le abitazioni di altri confratelli per annunciare la morte di Cristo. Sarà il suono della trenula agitata da un confratello e il suono della nenia funebre – le cui note sono dette dal popolo “lì lacrimi ti la Matonna” – ad accompagnare questo momento della tradizione.
Bibliografia:
Rosario Jurlaro, “La festa Cresta. Dalle palme al Sabato Santo con la gente del sud”, A. Longo Editore, Ravenna 1983
Pietro Lobello, “La Chiesa del Carmine in Francavilla Fontana”
Giuseppe Cafueri, “Calandàriu Franchiddèsi 1997”
Fotografie di Alessandro Rodia e Daniela Pappadà
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