Lingua Nostra: TEMPI E MODI | A cura del Preside Enzo Garganese

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Sottosopra, il Podcast di Paesituoi.News – Puntata 02

Sottosopra è il Podcast di Paesituoi.News: i fatti, i retroscena, il sopra e il sotto dalla città di Francavilla Fontana: questa è la seconda puntata del 27 gennaio 2023.

Amici francavillesi, avete notato che nel nostro dialetto d’oggi è sempre meno presente l’uso del passato remoto? Nel 1700 non era così. Il “Nniccu Furcedda” di Gerolamo Bax è pieno di perfetti; basta leggere quella commedia settecentesca ad apertura di pagina per rendersene conto.

Oggi, invece, si preferisce usare il passato prossimo, sicché, per dire, ad esempio, “voi ve ne tornaste” preferiamo dire “vi nn’atu turnatu” (pass. pr.) anzicché “vi nni turnàstivu”(pass. rem). C’è stato dunque un progressivo, graduale abbandono del secondo tempo a favore del primo, quasi che il nostro parlar salentino abbia sentito sempre più l’influenza del confinante calabrese settentrionale, in cui il fenomeno indicato è molto presente.

Notevole è anche la resistenza del nostro dialetto ad usare il modo infinito. Espressioni del tipo “andiamo a vedere”, “voglio mangiare”, “vengo a sapere” ecc. in dialetto valgono “scia’ vvitìmu”, “vògghiu mmànciu”, “vegn’ a ssàcciu”, dove l’infinito è scomparso, sostituito dal modo finito. Si tratta per la verità di una caratteristica comune a tanti dialetti meridionali, alla cui base c’è il modello del Latino volgare “venio ac video” (vengo e vedo = vegn’ a vvèsciu), tuttavia in frasi come “ è andato via senza salutare”, troviamo un influsso greco-bizantino già rilevato dal Rohlfs.

Quella frase, infatti, in dialetto vale “si nn’è sciùtu senza cu saluta”; qui non solo è scomparso l’infinito, ma il modo finito è retto dalla congiunzione “cu”, secondo una modalità che è propria del greco medievale, vale a dire del greco bizantino. Del resto l’influenza di questo superstrato è dovuta alla lunga permanenza dei Bizantini in Calabria, in Sicilia e in Puglia anche oltre il 568 d.C., anno in cui i Longobardi invasero l’Italia. E tale permanenza durò, in Calabria ed in Puglia, anche sotto il dominio dei Normanni, grazie al monachesimo basiliano, che era di rito e di lingua greca.

L’infinito lo troviamo invece solo in due casi, come io ritengo: dopo il verbo “potere” (no pputìmu fari nienzi, no ppozzu caminari, ecc) e nelle perifrastica passiva che, in dialetto, sostituisce il futuro (crai hàgghi’ a sceri = domani devo andare = domani andrò).

Lingua Nostra è una rubrica a cura del Preside Enzo Garganese: leggi gli altri numeri.


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