Questa sera alle 20:30 al Green Majesty di Francavilla, in via Ettore Cimarosa al numero 68, Uva Jazz Trio presenta il nuovo progetto musicale “Ideas”. Al contrabbasso Gianluca Uva, al sassofono Roberto Spagnolo, al pianoforte Eddy Olivieri.
Nell’iniziativa confluiscono una serie di esigenze a cui si sopperisce per “amor di patria” ma che effettivamente pulsano quando si dà loro possibilità di esaudirsi.
In questo caso l’esigenza è molto semplice e viene captata da Giuseppe Carbone e Romano Devicienti, gestori del Green Majesty presso cui si sono già tenute serata di musica dal vivo e stand-up comedy.
S’intravede la cellula di un progetto, il luogo di un intrattenimento né migliore né peggiore dell’offerta presente in giro, ma senz’altro diversa, in quanto è un dato di fatto, ad esempio, potersi mettere comodi e a proprio agio in un Lounge bar circondati di bottiglie di distillati e calici di vetro ad ascoltare anche, e magari, della buona musica, ma non si può dire lo stesso di un’attività commerciale che apra i battenti non solo alla propria clientela, ma anche a perfetti sconosciuti, semplici curiosi e non.
Giuseppe e Romano sembrano esserne al corrente. D’altronde non c’è scommessa senza rischi.
La conoscenza della tematica relativa alla “cannabis light” è veramente amatoriale al momento dell’incontro con Giuseppe e Romano, gestori del locale, i quali, disponibili e mai guardinghi, non solo hanno risposto alle nostre domande, ma ne hanno rilanciate delle altre di rimando, per farci strada in una realtà fortemente discussa e indefinita, eppure estremamente reale, come quella della cannabis light.
Che cos’è ‘Green Majesty’? «Green Majesty è la partnership intrapresa tra un coltivatore diretto, esperto della coltivazione della cannabis light, e la vendita al dettaglio di fiori», ci risponde in definitiva Romano, proprietario di un altro punto vendita ‘Green Majesty’ a Mesagne.
Quella che pare essere la prima domanda non è che l’ultima di una lenta e cauta perorazione di una realtà e tematica insieme avvolte da un’indicibile aria circospetta, avvertita anche solo mentre ci si approssima al punto vendita. Ironia della sorte è sempre un evento inaspettato a smentire un vago senso di disorientamento e a riportare alla normalità delle cose, alla loro semplicità. Nell’ultimo quarto d’ora della nostra chiacchierata si è affacciato un amico dei due gestori che indugiando sulla soglia ha detto: «Bello qui, vero? Io ci porto le mie bambine, ci sediamo lì ai divanetti e restiamo un po’», come se fosse la cosa più naturale del mondo. Già, ma qual è la cosa più naturale del mondo in materia di cannabis? Ed è la preparazione tecnica, oltre che la discrezione, di Giuseppe e Romano, a caratterizzare la loro attività, a definire la loro identità.
«Questa qui – la cannabis light – lo Stato ci consente di venderla in forma “anonima”. Posso venderla a te come oggetto collezionistico, quindi si presume che tu una volta che prendi il fiore, lo metti davanti al comodino e lo guardi quando vuoi. Lo puoi utilizzare come profumatore di ambiente, lo compri, lo apri a casa e profumi la tua stanza. Posso anche immaginare che questa la metti in una cartina, la arrotoli e la fumi. Quanto sarebbe più vicina questa realtà al fatto che la gente la compri per fumarla? Lo Stato sa che la gente prende la cannabis light da Romano ma non si interessa dell’uso che se ne fa», a dirlo è Romano stesso che predilige le metafore per proiettarci in un mondo sì difficile e controverso, ma non lontano da quello che un po’ tutti conosciamo.
Mentre Giuseppe arriva al cuore delle cose con spirito analitico e voce ferma: «Non è un prodotto classificato. La dicitura giusta è: “prodotto da libera vendita”. Non è un prodotto commestibile, non è un prodotto da fumo, non è un oggetto, non è niente. È un prodotto agricolo, di libera vendita. Per coltivarla devi avere per forza un’azienda agricola. Nel 2016, recependo una legge europea, sono stati dati dei finanziamenti per la coltivazione di piante da canapa industriale che praticamente sarebbe quella che serve per fare il tessuto, le corde per le barche, il cemento di calce canapa. Ma si sono limitati a scrivere questo: “canapa industriale”, senza specificare se si può vendere la radice, l’arbusto, il fiore, la foglia. Niente. Si è parlato solo di canapa, le cui sementi sono registrate sul catalogo europeo che prevede quali sono le genetiche che si possono vendere in Europa perché hanno un tenore di THC inferiore allo 0,2%, in Italia lo 0,5%. Noi stiamo approfittando di questa legge che non dice che non si possono vendere, però non dice nemmeno che si possono vendere».
Perché una società si sente minata dalla vendita di cannabis light? «Più che altro lo Stato, non la società. Da una parte la società vorrebbe la legalizzazione perché con i dati alla mano che abbiamo il 65% circa della popolazione utilizza la cannabis light (la percentuale riportata si discosta dai numeri presenti in altre statistiche che riportiamo in appendice, NdR). Però lo Stato non tutela né il venditore né il consumatore, perché non c’è una legge che inquadra il consumo».
Fermo restando che non è un’attività illegittima la vostra, a fronte di poca chiarezza istituzionale, perché la si consuma? «Bisognerebbe spiegare lo “sballo” (che è la parola con cui universalmente in gergo si indica l’effetto che rilascia). Il problema della cannabis è che, a differenza di altre sostanze, ha due usi principali, quello ludico e quello terapeutico. Il problema è che se ti concentri su quello terapeutico, fai accettare la sostanza alla gente, ma è difficile far capire che in realtà la maggior parte non la usa per curarsi ma ne fa uso ludico. Far capire che l’effetto ludico della cannabis è molto più piacevole di quella del vino, ad esempio, che non ha controindicazioni, non ti rende violento, è difficile. È più facile far accettare gli psicofarmaci rispetto alla cannabis».
A Francavilla avete trovato difficoltà ad aprire? «No, anzi. L’esplosione della cannabis light c’è stata quando abbiamo aperto durante il Covid. Eravamo aperti vendendo generi alimentari che erano tra le attività che potevano rimanere aperte. Quell’anno coltivai circa 200 kg che finimmo in meno di 4 mesi. Adesso è questo un momento in cui il mercato è cambiato. Sono subentrati i tabaccai. La visione politica sta cambiando. Stiamo andando verso una legalizzazione, piano piano, però in favore di chi non si sa. Quelli che ne stanno traendo molto vantaggio sono i tabaccai perché possono vendere anche le cartine che noi non possiamo più vendere», ci spiega Giuseppe.
È una realtà che esiste ma non esiste… «C’è stata la fiera la settimana scorsa a Roma, Canapa Mundi, e per tutti e tre i giorni, venerdì, sabato e domenica, forze dell’ordine, Polizia, Carabinieri, Finanza, scientifica hanno prelevato i campioni a tutti gli espositori, tutti i venditori, e ad alcuni hanno sequestrato la merce, altri li hanno denunciati», ci informa Giuseppe.
Per Romano: «Lo Stato non è dalla nostra parte. Per due motivi: dal 2016 ad oggi non abbiamo ancora una legge chiara sulla commercializzazione della merce che andiamo a vendere».
Giuseppe riprende e prosegue: «C’è adesso in Italia, a Parma, un processo nei confronti di Easy Joint, la prima azienda che realmente ha lanciato, si è inventata la canapa light. A lui hanno sequestrato tonnellate di canapa light. L’accusa punta sul fatto che di quelle tonnellate ne potrebbero fare degli estratti di THC e quindi avere una sostanza dall’effetto drogante. Tutte le altre sentenze di Cassazione dicono che la canapa si può vendere se non ha un effetto drogante. Per effetto drogante significa un tenore di THC inferiore allo 0,5% in Italia. Se quel fiore ha 0,6% ti droga, se ha 0,5% non ti droga».
La vostra è una posizione delicata. «Noi siamo qua innanzitutto perché ci dobbiamo campare. Poi, se noi investissimo i soldi che investiamo qua in un sito, o comunque in un negozio online, guadagneremmo di più, però non informeremmo nessuno. Con il presidio fisico noi puntiamo sul futuro».
Tornando alle iniziative artistiche che ospitate, che nesso c’è tra jazz e canapa light? «L’inclusione è la parte fondamentale del mondo in cui viviamo, che è il nostro modo di fare, è il nostro linguaggio. Molti ci escludono per quello che facciamo, per la foglia che sta sui loghi. E anche a livello musicale, il fatto che quei generi musicali rimangano di nicchia, tipo il jazz, il blues, dipende anche dal fatto che non ci sono ambienti che lo propongano per così com’è, jam session, improvvisazione, il mescolarsi dei diversi retaggi, senza per forza pagare un concerto per ascoltare», risponde Giuseppe.
Che il jazz possa trovare dimora anche nei mesi lontani dal Francavilla è Jazz, che nuovi clienti possano, chissà, un giorno, trovare il prodotto che stavano cercando senza saperlo, o semplicemente ampliare il ventaglio della scelta, della possibilità, così come pare che il mercato stia cambiando, forse ridefinendo un quadro complessivo finora troppo spesso rappresentato poco dignitosamente, allo stato attuale, in un mare di ipotesi, una cosa sola è certa: che tra gli ambienti di nicchia, c’è sintonia.
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I numeri della cannabis light in Italia: https://tg24.sky.it/cronaca/2018/06/21/cannabis-light-italia