Qual era la stranezza? Iu àgghiu tittu, tu ha tittu, iddu è ddittu: perché nella terza persona del passato prossimo scompare l’ausiliare “avere” e compare “essere”?
Per anni non ho saputo dare spiegazione a questo fenomeno. Ne chiesi ragione a Gerhard Rohlfs, il quale gentilmente mi rispose rimandandomi ai paragrafi 729 -730 della sua Grammatica storica (vedi lettera allegata). In quei paragrafi, però, si parla d’altro; evidentemente non fui io abbastanza chiaro nel formulare il quesito.
Rivedendo la questione, oggi è stato lo stesso Rohlfs a farmi formulare una ipotesi risolutiva. Al paragrafo 674 della stessa opera si afferma la possibilità che il nostro trapassato prossimo iu era tittu sia la continuazione e la sopravvivenza dell’antico piuccheperfetto latino habueram. Quell’“era” di era tittu, dunque, sarebbe ciò che resta di habueram, sicché “era” non è voce del verbo essere, ma del verbo avere.
Se così è per il trapassato prossimo, perché non può esserlo anche per il passato prossimo? Penso infatti che la “è” di è ddittu non derivi da un est (verbo essere), ma sia ciò che resta di un habet (verbo avere), attraverso un passaggio molto frequente habet > ave > ae > è. Così i conti mi tornano e la stranezza scompare.
Lingua Nostra è una rubrica a cura del Preside Enzo Garganese: leggi tutte le uscite.

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