«Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo, sparagli ancora,
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue».
Dai libri, a scuola, ho imparato la storia, la versione diplomatica, quella che dovrebbe essere super-partes, le date, i fatti avvenuti, quella senza obiettività. Quel 1946 così lontano, quasi da non crederci, quasi da non pensarci. È successo tanto tempo fa, non è oggi.
La storia degli uomini, invece, quella vissuta sulla pelle bruciata dai fuochi, dalle ferite, dalla terra arsa, dai giorni senza acqua e senza cibo, in un posto nel mondo così lontano da casa, lontano da tutto e da tutti, con quella sensazione di smarrimento, incredulità, quella l’ho imparata dalle canzoni, dalla testimonianza degli uomini stessi.
L’ho imparata “da grande”, quando ho iniziato a farmi le domande e a cercare le risposte, a sentire più versioni dei fatti accaduti.
«A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale». Dal 1946 al 1948, la giornata del 25 aprile viene dichiarata festa nazionale su decreto, dal 1949 viene invece istituzionalizzata.
“La giornata della liberazione” dicono.
Liberazione da cosa?
Siamo tutti a conoscenza di ciò che accadde in quegli anni, i libri ne parlano tanto, le iniziative per non dimenticare sono numerose.
E, quindi, non intendo scrivere i fatti storici.
Intendo scrivere delle vite di ieri e di quelle di oggi.
“La guerra di Piero” canta Fabrizio de André.
Ma Piero voleva davvero la guerra? Quale era la guerra di Piero?
Piero voleva solo vivere, voleva tornare dalla sua amata e fuggire dai quei luoghi che puzzavano di morte, fuggire dalle urla degli amici caduti in battaglia, dagli incubi che non gli permettevano di dormire.
Chi poteva mai desiderare combattere e rischiare di morire quando, si sa, la vita è il dono più bello?
Talmente bello che, nella cattiveria del sopruso e nell’indole animale, la prima cosa che si pensa, quando non si riesce a sottomettere qualcuno è proprio toglierli quel dono, la vita. La libertà.
A morire si fa presto, si ferma il respiro e non senti più nulla. E diverso è morire per difendere la vita, tua e degli altri, difendere la propria libertà e dignità, scegliere di combattere per un ideale genuino, per un forte desiderio di serenità, da morire per una guerra non voluta, combattuta per obbligo e scelta di altri che in uno stolto disegno offuscano le proprie menti per la forte sete di potere.
E per chi resta, dopo tanto dolore, come si fa a proseguire? Cosa sentono i morti vivi?
Siamo ben coscienti che un ordine, qualcuno a capo che guidi una società, sia necessario per delineare le regole del vivere civile. Un concatenarsi di responsabilità, dal primo all’ultimo, tutti a giocare un ruolo fondamentale per la quiete e il benessere proprio e degli altri. Ci ritroviamo cosi a delineare confini, a proporre regole, ad attribuire “poteri” al fine di amministrare la vita insieme.
Ed è qui che si raggiunge la linea sottilissima tra potere a beneficio di tutti e potere personale. È qui che, ieri e oggi, si è perso il senso del “vivere civile”. È qui che l’obiettivo della “libertà”, nonostante sia comune a tutti, porta il blocco a spaccarsi in due.
Diverse ideologie, diverse priorità.
E in questa rottura la vita di tutti.
Lì dove l’ego opprime l’altro, lì è la fine.
È un continuo susseguirsi di causa-effetto.
Quando l’uomo provoca violenza, inevitabilmente ottiene dolore, inevitabilmente vìola la libertà dell’altro e ne compromette presente e futuro.
Spesso succede che ci fregiamo del libero arbitrio, quella “libertà di scelta” che abbiamo la fortuna di poter esercitare, nel bene e nel male. E il bene e il male chi li stabilisce? Sono idee oggettive o soggettive?
«Libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero come un uomo, come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia, che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà».
Così Giorgio Gaber canta nel manifestare l’idea di un uomo libero nello stare insieme, nel rispetto dell’altro, nell’esprimere la propria opinione e ritrovare con l’altro un punto di incontro.
La democrazia. Quel “farsi comandare” non è sottomissione, non è rinnegare sé stessi e diventare succubi di “uno solo”, è scegliere una guida che faccia il bene di tutti. Che se così fosse, se così fosse stato, la libertà sarebbe da festeggiare ogni giorno (concedetemi questa frase retorica).
Invece, ogni giorno, siamo ancora qui, divisi tra coloro che con le chiappe sul divano stanno troppo comodi per rivoluzionare e migliorare, e si “accontentano”, assumono quell’aria da ignavi, da vivi e lascia vivere, da lavativi. Lasciano combattere gli altri, quelli che con dignità cercano di arrivare a fine mese, che i diritti devono continuare a chiederli.
Perché per cos’altro si può continuare a combattere se non per tutelare quella vita che negli anni precedenti il 1946 per forza o per scelta, molti furono costretti a mettere a rischio, a perderla, nel nome della sacra libertà?
E oggi, 25 aprile, e sempre, siamo davvero liberi?
Continuano a morire tanti Piero per guerre che non vogliamo, per confini che non esistono, gli unici confini sono quelli naturali, tra terra ferma e acque.
Guerre per una Terra che in realtà è di tutti. Una Terra che, se amata, darebbe cibo a chiunque, una Terra da curare e far produrre e offrire a ognuno.
La libertà sarebbe questa, la convivenza, la pace, il riconoscersi uguali e diversi.
E invece siamo ancora in lotta, con le armi e senza.
Delle volte vittime inconsapevoli, tante altre coscienti ma incapaci a reagire.
Soggiogate in un sistema piegato alla logica di un profitto solo temporaneo, evanescente, che sia un pezzo di terra, un’ingente somma di denaro.
Non è vero che siamo liberi. Non lo siamo per niente.
«La dittatura c’è ma non si sa dove sta
Non si vede da qua, non si vede da qua.
Il mio nemico non ha divisa,
ama le armi ma non le usa,
nella fondina tiene le carte visa
e quando uccide non chiede scusa […]
E se non hai morale, e se non hai passione, se nessun dubbio ti assale
perché la sola ragione che ti interessa avere è una ragione sociale,
soprattutto se hai qualche dannata guerra da fare
non farla nel mio nome, non farla nel mio nome!
Che non hai mai domandato la mia autorizzazione! […]
Il mio nemico mi somiglia, è come me
lui ama la famiglia e per questo piglia più di ciò che dà,
e non sbaglierà ma, se sbaglia, un altro pagherà!
E il potere non lo logora!»
Così, Daniele Silvestri, canta la guerra oggi, la nostra. E la libertà, la vera libertà, è ancora così lontana.