Abbiamo chiesto a Nicola Cleopazzo, ricercatore francavillese di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università del Salento, di raccontarci delle sue ricerche sulle statue dei Misteri di Francavilla Fontana, sulle loro caratteristiche, sugli autori – fra tutti Pietro Pinca – e sulla tradizione dell’arte della cartapesta nella città degli Imperiali.
Pietro Pinca, cenni biografici
Il 25 agosto 1757, nella collegiata di Francavilla, veniva battezzato il figlio di Giuseppe Pinca e di Elisabetta Quaranta da Grottaglie, a cui s’imposero i nomi di «Petrus, Jacobus, Dominicus, Cyrus, Joannes de deo, Bartholomeus». Si trattava del noto artista francavillese Pietro Pinca – nato quindi nel 1757 e non l’anno dopo, come riportato da diverse fonti – a cui nell’atto di battesimo, come negli altri documenti a lui riferibili, non risulta mai associato l’altro nome di Paolo col quale oggi è generalmente noto, forse frutto d’invenzione o di una tradizione orale che ci ha trasmesso un appellativo familiare o popolare.
A poco più di vent’anni, il 6 aprile 1778, Pietro prese in moglie la conterranea Vincenza Castellana (1755-1834) e dalla loro unione, nel 1782, nacque Elisabetta. Due importanti notizie inedite che sono indizio di una precoce stabilità economica raggiunta dall’artista, alla quale poté concorrere la sua attività di cartapestaio avviata proprio in quegli anni e presto consolidatasi.
I Misteri di Francavilla Fontana
Nel verbale di una riunione dei confratelli dell’Orazione e Morte del 1745, vengono per la prima volta menzionati «i Misteri della Passione di Giesù», che alcuni «Galantuomini» erano soliti accompagnare la sera del Venerdì Santo durante la processione detta ‘del Battaglino’ – dal battaglio di legno (trenula) ancora oggi usato come strumento comunicativo – solennizzata dalla confraternita da più di un secolo ma la cui prima attestazione risale al 1693. A quel tempo le statue dei Misteri dovevano però essere altre e probabilmente, se ci fondiamo su altri casi pugliesi dello stesso periodo, realizzate in legno.
Si può quindi ipotizzare che a seguito del terremoto del 1743 e della demolizione del primo oratorio della confraternita, abbattuto per fare spazio alla nuova Chiesa Matrice, furono richiesti a Pietro Pinca dei simulacri in cartapesta, materia ‘nuova’ e leggera, destinati al nuovo oratorio fabbricato tra il 1757 e il 1784. Mancano purtroppo proprio di quegli anni i verbali delle riunioni confraternali, nei quali dovevano essere di certo registrati sia i lavori per la nuova sede (forse già pronta nel dicembre 1768, quando i confratelli «congregati nell’oratorio» approvarono il loro statuto), sia la commissione dei Misteri in cartapesta; commissione di cui non vi è traccia nelle più complete carte successive.
Difatti da un altro interessante verbale dell’1 ottobre 1786 sappiamo che i confratelli, tra cui lo stesso Pinca, deliberarono che i Misteri non dovevano più né essere prestati alle altre chiese per i ‘Sepolcri’, né uscire dall’oratorio per essere guarniti «di cera da alcuni divoti particolari» per la processione del Battaglino, a ciò bastando gli uomini e i pochi carlini messi a disposizione dalla congrega. Le statue infatti «hanno incominciato a patire, per cui se si seguitasse simile costume non passeranno anni da oggi, e restaremo senza Misteri, o alla peggio con i Misteri rovinati».
Tutto quindi lascia supporre che nel 1786 Pinca avesse realizzato già da qualche anno le nuove statue, ossia, poniamo, tra gli inizi di quel decennio e la fine del precedente. Tanto più che nell’aprile 1784, come rivelato da un’importante Memoria da poco rintracciata, gli fu commissionata dal prefetto della stessa congregazione, don Vincenzo Mauro, forse a suggello e ricompensa della buona riuscita dell’altro lavoro, la statua di san Filippo Benizi, anche essa oggi conservata nella chiesa di Santa Chiara, «modellata coll’assistenza di Ludovico delli Guanti Pittore di buon pennello».
Una notizia che certifica indirettamente l’autografia delle statue dei Misteri, finora fondata solo su un’attendibile tradizione; genera nuove riflessioni sull’esecuzione delle stesse; conferma quanto forte fosse la fiducia che la confraternita della Morte riponeva nel giovane affiliato Pinca, appoggiato quasi sicuramente in quell’avvio di carriera dal padre Giuseppe (1715-88), che nel 1749 ricoprì nell’associazione laicale le prestigiose cariche di priore e di maestro di cerimonie, e nel 1788 quella di assistente. Così come si può ipotizzare che fu proprio quest’ultimo a iniziare Pietro all’arte, se è lui, come siamo portati a credere, il ritrattista «di nome Giuseppe» citato da Pietro Palumbo come fratello del Nostro.
La scuola napoletana della cartapesta
Vi è ragione di credere che nell’arte della cartapesta il Pinca non si pose sulla scia dei primi maestri della scuola leccese, ma volse semmai direttamente le sue attenzioni al primo referente artistico dell’arte della cartapesta dello stesso capoluogo salentino: Napoli.
I Misteri del Pinca, contraddistinti da forme tornite o macilente, da torsioni e contrapposti, e da un realistico patetismo sembrano infatti discendere dalla lunga stagione della statuaria lignea partenopea sei-settecentesca, suggerendo al contempo rimandi alla coeva scultura iberica, magari mediati da stampe e incisioni. Potette giocare un ruolo fondamentale sotto questo aspetto Ludovico delli Guanti (1738-1810), ‘assistente’ del Pinca nel 1784 nell’esecuzione del San Filippo Benizi e che, anche nella realizzazione dei Misteri, supponiamo, ebbe analogo ruolo, ossia quello di realizzare un disegno, se non un modello in terracotta, dei simulacri, quindi di colorirli una volta modellati dal Nostro.
Il Delli Guanti in quegli anni dirigeva infatti una scuola di pittura presso la Foresteria degli Imperiali, dove insegnava a disegnare «copiando da stampe coeve» e, tra le altre cose annotate nei suoi appunti, a dipingere la figura umana come «oggi in Napoli si usa, e non s’inganna il celebre Solimena».
A Napoli il giovane Ludovico era stato inviato a studiare pittura dal principe Michele Imperali junior (1719-82), tornandovi forse periodicamente, e proprio lì poté imbattersi in qualche «bottega di cartapistaio, che tra l’altro modellava al vivo Crocefissi ed altri simulacri di Gesù appassionato […] Cosicché, partendo da Napoli, portò seco vari modelli di Cristo Crocifisso e mostrato al popolo, per poi formarne le immagini e dispensarle a divoti». Un brano questo che, riferito a san Gerardo Maiella, si potrebbe estendere al Delli Guanti o allo stesso Pinca. Non è infatti da escludere l’ipotesi che Pinca, come Delli Guanti o i fratelli pittori Pastorelli, si fosse formato a Napoli grazie al mecenatismo degli Imperiali, magari caldeggiato dal padre, e che nella capitale avesse frequentato una delle botteghe di ‘cartapistari’, attivissime nei decenni centrali del XVIII secolo e che a quelle celebri degli scultori in legno s’ispiravano.
Vi è peraltro un ulteriore indizio che ci suggerisce che l’attività di cartapestaio di Pinca si sia aperta già tra la fine dell’ottavo e gli inizi del nono decennio del Settecento. Il San Rocco custodito nella collegiata di Francavilla era infatti già nella cappella dedicata al santo il 27 maggio 1781, quando dinanzi al capitolo il canonico Massari, procuratore del sacello, notificava la realizzazione di «uno stepo dove ha da rimettersi la statua del santo». E in effetti il San Rocco, tradizionalmente riferito al Pinca, palesa, nel corpo spigoloso e consunto o nella realistica espressione pietosa, forti affinità coi tre coevi, come qui supposto, Misteri esaminati.
La fase finale dell’attività di Pietro Pinca
Nonostante nel 1827 firmasse una delle 4 statue dei Misteri di Oria (oggi malamente ridipinti), nella fase matura e in quella finale della sua carriera apparentemente il Pinca si dedicò soprattutto alla pittura, tant’è che come pittore volle essere riconosciuto e ricordato in un interessante ed estremo documento biografico.
Nello stradario francavillese compilato tra il 1828 e il 1829, con annesso censimento degli abitanti, veniamo infatti a sapere che il Nostro, di anni 71, era tra i non molti francavillesi a possedere una casa «propria» nella «strada Antoglietta e Salonna» (oggi via Manzoni). Vi abitava, in un tipico ‘affollamento’ domestico di quei tempi, insieme alla moglie Vincenza, alla figlia Elisabetta, ai tre figli di questa, alla sorella vedova Maria Concetta e al di lei figlio, di cui veniva annotato, come nel caso del cugino, il mestiere di sarto (il tredicenne figlio di Elisabetta, Raffaele, era invece un calzolaio). Anche se la principale fonte di reddito continuava a essere o era stata l’attività del patriarca: il «Signor Pietro Pinca pittore».
D’altronde, la stessa sua confraternita della Morte che ne custodiva i Misteri, nel 1805, lui ancora vivo e attivo, acquistò al prezzo di 13 ducati, tramite lo storico prefetto don Vincenzo Mauro, una preconfezionata statua di Cristo risorto, «stante che alla Congregazione manca un tal misterio», dallo «statuario leccese» Teodoro Bambino «che la tiene già lavorata di carta pesta simile alle nostre della passione e dell’istessa altezza». Pinca, insomma, a un certo punto della sua carriera fu costretto a mettersi in disparte, sempre più sopraffatto dall’agguerrita concorrenza dei cartapestai leccesi avviatisi ormai verso una seriale e più economica produzione ‘aziendale’.
Ciò comunque non incrinò il legame spirituale e affettivo tra Pietro e l’ente confraternale per il quale, come il padre, aveva ricoperto importanti incarichi, tra cui quello, certo non casuale, di deputato nel 1787 per la festa di San Filippo Benizi e nel 1794 per la processione del Battaglino. Tant’è che proprio «in Oratorio Mortis», assecondando un antico e ‘lucroso’ privilegio della confraternita, il Nostro espresse il desiderio di essere sepolto il 6 aprile 1832, seguito in quest’ultima volontà dalla moglie, morta il 28 maggio 1834.
Pietro fece quindi in tempo a risparmiarsi il dolore di vedere alcuni dei suoi ‘vecchi’ Misteri bruciare, poco dopo la metà dell’Ottocento, nella chiesa di San Biagio, dove furono fatti sostare per tutta la notte, a causa di un temporale, in occasione della processione del Venerdì Santo.
L’incendio, divampato pare per colpa dei ceri, distrusse di certo le statue del Cristo all’Orto e del Cristo col pane. Quest’ultimo fu rimpiazzato dal simulacro di analogo soggetto eseguito, forse a cavallo tra ’8 e ’900, dall’ultimo maestro cartapestaio francavillese, anche lui formatosi a Napoli, Nicola Distante detto Nnicchitieddu (1837-1917), che nella stessa occasione modellò anche il Cristo vestito da pazzo. Il Cristo nell’orto fu sostituito invece dal gruppo anonimo – ma vicinissimo alla maniera patetica e asciutta di Antonio Maccagnani (1807-92) – commissionato, come si legge nel cartiglio alla base, dalle nobildonne Carmela Brost e Giacinta Lupo Fiorentini nel 1871, termine ante quem per il disastroso incendio. Di lì a poco avrebbero ‘concluso’ la serie dei Misteri, prendendo il posto di statue più antiche ma non del Pinca, il Crocifisso e il Cristo morto richiesti nel 1911 al celebre statuario leccese Giuseppe Manzo (1849-1942), sigillo al definitivo tramonto dell’antica scuola della cartapesta di Francavilla Fontana.
Nicola Cleopazzo
Ricercatore di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università del Salento
Articolo estratto da Uno scrigno della cartapesta pugliese: la chiesa di Santa Chiara a Francavilla Fontana. Ricerche su Pietro Pinca (1757-1832), in I Convegno BENI CULTURALI IN PUGLIA. Dialoghi multidisciplinari per la ricerca, la tutela e la valorizzazione, atti del convegno (Bari; 2020), a cura di G. Fioretti, Edizione Fondazione Pasquale Battista, Milano 2021, pp. 91-98.
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