In un cinema Italia affollatissimo, la sera di martedì 12 dicembre scorso il regista francavillese Alessandro Zizzo ha presentato la sua ultima creatura, “Cani Randagi”. Un film “sporco”, lo definisce lo stesso Zizzo, per via del riferimento alla tematica della criminalità organizzata e al linguaggio con cui i protagonisti comunicano, il nostro colorito dialetto, condito con parole grevi e intercalari salentini.
L’idea nasce dal soggetto e dalla sceneggiatura che Alessandro Zizzo scrive con Barabba Marlin. L’intenzione è stata quella di raccontare una storia nuova, diversa, che raccontasse della Puglia e della realtà criminale della Sacra corona unita, sulla quale poche sono le pellicole realizzate.
Girato a Francavilla, Campomarino di Maruggio e nei dintorni, la trama si sviluppa nei nostri giorni, tra il 2019 e il 2020, e racconta di una faida tra vecchie e nuove famiglie legate alla Scu, gli Scarano radicati sul territorio da decenni e la famiglia Basile, pronta a “rinnovare” la malavita locale.
E nel bel mezzo, la storia di Silvia Brunetti, personaggio interpretato da una meravigliosa Giulia Lippolis, che va a legare e intrecciare la vita delle due famiglie che riporta indietro nel tempo, agli anni ’80 -’90.
Conosco Alessandro da qualche anno e non nascondo l’orgoglio di poter condividere la conoscenza sua e di buona parte degli attori che hanno collaborato alla produzione del film. Non è poi necessario andare così lontano per conoscere artisti brillanti, l’idea di quanto sia distante Hollywood oggi si è ridimensionata se penso che, da piccola, abissale era l’irraggiungibilità delle attrici e degli attori che ammiro.
Oggi ho l’opportunità di vivere emozioni a primo impatto, grazie agli artisti del luogo che con passione e dedizione creano pellicole che fanno ancora vivere il cinema.
“Cani Randagi” è sì un film di mafia, ma nuovo, che si concentra tanto sul vissuto dei personaggi, sui loro stili di vita, sulle loro necessità. Costretti a rasentare il filo sottile tra vivere e sopravvivere in una terra spesso dimenticata e abbandonata. Il crimine organizzato è pur sempre fatto di persone, ognuno delle quali ha la propria storia.
Quando vedrete il film – e vi invito vivamente a farlo in sala, anche se sarà disponile di Prime Video a partire da gennaio -, capirete di cosa sto parlando. Vi sarà più chiaro il quadro dell’esistenza in terra di Puglia quando non c’è progresso, non c’è lavoro, non c’è sviluppo, quando la vita ti riserva spiacevoli sorprese e allora si ha un’unica scelta, quando la malavita si approfitta delle debolezze umane.
In occasione della presentazione del film, per approfondire la tematica, per riflettere e andare oltre lo schermo e snocciolare i messaggi trasmessi, non troppo però, quel tanto che basta per lasciare pur sempre libera interpretazione a chi vedrà “Cani Randagi”, ho posto qualche domanda ad Alessandro Zizzo, che ringrazio per aver dedicato il suo tempo alle mie curiosità.
Tema principale: “criminalità”. Ogni personaggio ha un suo profilo, che si è creato da sé o che gli è stato affibbiato solo e soltanto perché nato in determinati contesti, in case di gente priva di una cultura sociale, dedita alla “malavita”, quella malavita che distrugge il senso civico.
C’è dietro un contesto storico che etichetta il territorio, in passato povero e abbandonato a sé stesso, in cui chi ci è nato si è creato una sorta di “Stato proprio”, con le proprie leggi, i propri soldati, i propri riti culturali, le proprie tradizioni. Delle volte probabilmente costretti perché senza altra scelta, delle volte guidati da un ideale insito, forse anche nel proprio DNA, che porta a scegliere chi essere e cosa fare, a prescindere dal contesto socioculturale, lontano dall’essere civile, onesto, cittadino di un paese democratico che dovrebbe tutelare chiunque ne faccia parte. Cosa pensi a riguardo?
(Zizzo) Se dobbiamo vederla da un punto di vista storico, le associazioni criminali nate al sud, la mafia in primis ma anche la camorra, la Scu, nascono in un territorio dove la presenza dello Stato era meno forte; dal brigantaggio si arriva poi a queste associazioni criminali. Subito dopo l’unità d’Italia, si sa, Giolitti favorì più il nord col famoso triangolo industriale, sfavorendo il sud, tant’è che divenne impopolare ed è il primo ministro italiano che venne identificato come “Ministro della Malavita” perché essendo impopolare, fu costretto a fare accordi con i grandi proprietari terrieri che erano, in parte, già legati alla malavita. Quindi, quello del film, il nostro, è un territorio che è stato abbandonato ed è normale che, lì dove non c’è lo Stato, si crei un’“altra forma di Stato”, rappresentata appunto da queste organizzazioni criminali.
Con il tuo racconto, attraverso il film, tendi più a denunciare l’esistenza di un “marcio” che non vuole saperne di lasciare libera la nostra terra, o tendi alla “speranza” che prima o poi qualcuno tagli questa sorta di cordone ombelicale e ci sia una rivoluzione, una presa di coscienza che induca ad una vita sociale migliore e dignitosa per tutti? Che permetta di avere dei sogni e che questi siano più facili da realizzare?
Quando parli di rivoluzione, mi viene in mente Mario Monicelli, che ha fatto l’ultimo discorso politico degno di nota che io abbia ascoltato, nella trasmissione Rai “Per una notte” di Michele Santoro, in cui disse appunto che “La speranza è una trappola e che in Italia, quello che è mancato è proprio una vera e propria rivoluzione, come c’è stata in Francia o in altri Paesi”.Personalmente, credo che il discorso non è tanto relativo alle associazioni criminali, bensì bisogna partire dalla politica, perché parte tutto da lì, secondo me; non voglio essere generalista però, iniziamo a governare meglio questo Paese e governando meglio questo Paese, offrendo più posti di lavoro e impegnandosi nei vari campi della cultura, della sanità, dell’istruzione, diminuendo di conseguenza il tasso di disoccupazione, diminuiranno anche i crimini e avranno meno potere le associazioni criminali.
Relativamente ai sogni, invece, vorrei che una parola entrasse nel vocabolario italiano, cioè una parola che esiste ma che in realtà non ha alcun significato in Italia che è, purtroppo, “meritocrazia”. Per cui, quando io parlo di sogni, penso anche alla meritocrazia. In Italia non c’è! L’Italia è un Paese in cui con le raccomandazioni fai carriera; purtroppo è così, inutile che ci prendiamo in giro. Quindi, i sogni, come la speranza, ritornando a Monicelli, sono una trappola; purtroppo, ripeto, bisogna cambiare la politica italiana e non faccio un discorso di destra o di sinistra, sia chiaro, per cambiare tutto il resto, bisogna partire dall’alto.
Torniamo a parlare strettamente del film; il titolo racchiude due parole chiave : “Cani Randagi”, schietto e crudo induce già a pensare a qualcosa di difficile, come una vita senza punti di riferimento, una vita fatta di giorni inconsapevoli, una nebbia davanti ai propri occhi; nessun progetto, nessun obiettivo, se non quello di “sopravvivere” in una terra in cui il progresso non ha preso il sopravvento, ma ha lasciato carta bianca al malvagio, all’egoista, privando tanta gente dei propri sogni.
Come è avvenuta la scelta di questo titolo? Era l’unico o avevi in mente altri titoli possibili?
Il titolo nasce da una battuta, non anticipiamo troppo, nasce anzi da una situazione, da un modo di vivere, da un modo di comportarsi di alcuni personaggi del film che sono, appunto, dei “cani randagi” che hanno smesso di sognare e vagano alla ricerca di briciole. Loro non hanno un sogno, il loro obiettivo è sopravvivere anche mordendo, attaccando, muovendosi in branco, e, diciamolo, non rispettando le regole. Quindi sono cani randagi che vagano privi di una meta. Capirete meglio guardando il film.
Un cast totalmente indigeno, avevi già ben chiari i ruoli da affidare ad ogni attore? È stato facile selezionarlo?
Gli attori presenti nella pellicola sono tutti bravissimi, artisti in gamba con una preparazione eccellente. I migliori attori pugliesi in circolazione. C’è Altea Chionna che interpreta Lucia Scarano, la quale è di una bravura straordinaria e mi chiedo come ancora nessuno si sia accorto di lei, per delle pellicole di registi più importanti di me, perché, ripeto, mi ricollego al termine meritocrazia, quel termine che nel vocabolario è presente ma non ha alcun significato. La meritocrazia in Italia non c’è.
Un altro grandissimo attore è Giuseppe Ciciriello; formidabile, spettacolare. Ci sono nel cast Giulio Neglia, Giorgio Consoli che ha lavorato tanto con me, Angelo Argentina che si è diplomato all’accademia nazionale di Arte Drammatica “Silvio d’Amico”.
Una mia grande scoperta, di cui sono particolarmente orgoglioso è Giulia Lippolis, attrice francavillese che si è calata perfettamente nel personaggio, è stata veramente veramente brava! E anche Piero Balsamo e Fabio Saponaro, alla loro prima esperienza, anche loro bravissimi e di origini francavillesi.
Citiamo inoltre Gianvincenzo Piro, che sta facendo carriera, lo vedremo presto in una fiction sulla Rai, e Tommy Lacalamita che aveva già lavorato con me. Vedrete Eleonora Siro, un’altra bravissima attrice pugliese, e Francesca Danese, loro entrambe brindisine. Di attori bravi nella nostra Puglia ne abbiamo tanti. Una volta scritta la sceneggiatura, sì, è stato facile pensare a loro per ricoprire i ruoli.
In quella che è la scuola cinematografica, hai un punto di riferimento? Chi è il tuo “maestro”? E in questo film hai tratto spunto da qualcuno in particolare?
Chi mi conosce sa, in altre interviste ho già detto che l’input, quello che mi ha spinto a fare il regista, è stato un film di Giuseppe Tornatore che ha segnato molti registi della mia generazione che è “Nuovo Cinema Paradiso”.
Punti di riferimento oggi non ne ho. Posso dire che ho amato tanti registi, da Fellini a Monicelli con stili completamente diversi. Monicelli, peraltro, ho avuto la fortuna di averlo come professore a scuola di cinema. Ora, il regista italiano che amo di più è sicuramente Paolo Sorrentino. Un altro artista fondamentale per il mio percorso di crescita è stato sicuramente Massimo Troisi. Però non ho un maestro.
In questo film non ho avuto particolari spunti, abbiamo voluto raccontare questa realtà, lo abbiamo fatto con un linguaggio crudo, sporco, tendo a sottolinearlo; il film è pieno di parolacce perché io faccio sempre un discorso di mimesi linguistica, citando Giovanni Verga o Dante Alighieri.
Ad esempio, Dante nell’Inferno utilizza un volgare basso rispetto a quello utilizzato nella cantica del Paradiso poiché, avvicinandosi al paradiso e, quindi a Dio, il linguaggio cambia e diventa aulico, mentre nell’inferno che è un mondo che Dante condanna, essendo un luogo di dannazione, il linguaggio utilizzato è rozzo.
Anche Verga ne “I Malavoglia”, si limita a raccontare i fatti, come fosse un narratore nascosto. Quindi, io credo che il cinema si debba limitare a raccontare la storia, l’autore non deve intervenire, non deve mai cambiare nulla, deve semplicemente muovere la telecamera; perciò, se un personaggio presenta determinate caratteristiche, è di bassa estrazione sociale, sicuramente non gli metterò in bocca congiuntivi e condizionali, bensì parolacce che utilizza quotidianamente.
Non succede che l’attore cinematografico guardi il pubblico in sala e in base ai presenti cambi linguaggio, quella è un’altra forma d’arte, potrebbe essere il teatro ma non il cinema. Nel teatro ci può essere un rapporto tra attori e pubblico, nel cinema no, nel cinema il pubblico non esiste, io dico sempre ai miei attori “voi nel set non state recitando, voi state vivendo”. Quindi non scandalizzatevi per qualche parolaccia in più, io sto raccontando una realtà.
Anche i tuoi precedenti film hanno sempre avuto alla base un messaggio da trasmettere alla società. La regia è il tuo mezzo di comunicazione. A tutti coloro che vedranno “Cani Randagi”, e approfittiamo per ricordare che oltre ad essere proiettato nei cinema sarà disponibile anche su Amazon Prime a partire da gennaio, cosa vorresti restasse più di ogni altra cosa?
Quello che dico sempre è che non voglio insegnare niente a nessuno, noi registi non abbiamo il compito di dare insegnamenti ma ognuno deve guardare il film, farlo suo e vederlo dal suo punto di vista, riflettere su ciò che ritiene più opportuno. Tante volte ci sono delle mie sceneggiature, dei miei film che vengono viste in maniera diversa da quelle che erano le mie intenzioni, ma va benissimo così.
Di “Cani Randagi” vorrei restasse l’idea della storia di due personaggi “puri” ma fino ad un certo punto, perché ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, ogni essere umano ha le sue contraddizioni, infatti amo Sorrentino anche per questo, per la capacità che ha di descrivere i personaggi a trecentosessanta gradi, che è quello che cerco di fare anche io, con le dovute differenze rispetto a Sorrentino.
Perché mi piace raccontare i personaggi in maniera positiva e nello stesso tempo negativa. Quindi i “personaggi negativi” presenti in questo film avranno “risvolti positivi” e i “personaggi positivi”, analizzati bene avranno “risvolti negativi” perché la cosa principale è il “non giudicare”; anche un malavitoso ha alle spalle una storia, un percorso di vita che lo ha portato a comportarsi in quel modo.
Non tutti abbiamo una vita agiata, non tutti abbiamo avuto la possibilità di studiare o di lavorare o di avere dei genitori che ci abbiano messo su e ci abbaino protetto. Prima di giudicare, dovremmo provare a metterci nei panni degli altri per capire quello che si prova.
Il cinema, il teatro e la letteratura dovrebbero aiutarci a fare questo lavoro di immedesimazione che dovrebbe portare poi all’empatia nel confronto del personaggio. Io mi limito a raccontare questa storia, poi ognuno deve riflettere se vuole riflettere, però non giudico mai i miei personaggi, cerco sempre di raccontarli in maniera oggettiva, neutrale.
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Parlare con Alessandro è sempre un piacere ma, per conoscere il lavoro fatto sulla pellicola da altri punti di vista, mi sono permessa di porre qualche domanda a due attori del cast. Angelo Argentina e Giulia Lippolis.
Angelo, che piacere ritrovarti! Possiamo dire che con il regista Alessandro Zizzo, ormai c’è un rapporto di lavoro consolidato nel tempo!
(Argentina) Con Alessandro ci conosciamo da tantissimi anni ed è uno dei miei migliori amici, con il quale ho condiviso davvero tanto. Dai tempi di Roma alla Puglia, anche e soprattutto nella vita privata.
Per citare qualcuno dei vostri lavori, mi verrebbe subito in mente il commovente corto “Ti ricordi Erasmo Iacovone”, o il più simpatico “La porta del destino”.
Abbiamo collaborato molte volte, divertendoci insieme a realizzare film, mediometraggi e anche spot.
Oggi ti ritroviamo nel cast del film “Cani Randagi”, raccontaci del tuo personaggio.
Io interpreto Saverio Scarano, che assieme alla sua famiglia controlla e gestisce quasi tutte le attività criminali in quella fetta di Salento da sempre in conflitto con la rivale famiglia dei Basile.
Date le numerose esperienze con il regista, come è cambiato nel tempo? È un direttore artistico severo? Paziente?
Alessandro ha stoffa e talento. Ha sempre dimostrato (anche quando non aveva una produzione alle spalle) di saper gestire un gruppo di lavoro, di saper lavorare con gli attori e di scrivere sceneggiature molto interessanti.
Come è stato lavorare con attori delle tue stesse origini, siete tutti salentini, che rapporto si è creato tra di voi?
Con alcuni ci conoscevamo da tempo anche se non c’era stata ancora l’occasione di fare qualcosa insieme. Sin da subito ci siamo sentiti coinvolti e questo perché l’intenzione di trasformare questa idea in un film ci ha reso immediatamente complici sul set.
Esprimi un tuo parere sulla storia che raccontate in questo film.
Si tratta di un film che racconta molto l’intimo dei personaggi, inserendoli in una storia che non è solo fatta di criminalità pur raccontando anche di quello.
Tu sei uno di quelli che è stato “costretto” a emigrare al nord, perché qui in Puglia non avresti avuto le stesse possibilità di lavoro che hai trovato altrove.
Quando torni, per le vacanze estive o natalizie, magari, cosa vedi e cosa pensi della nostra terra?
La Puglia è sempre in testa, non c’è niente da fare. Ti deve mancare, perché è così potente, magica. Quindi spessissimo mi capita di pensare a quando finalmente scenderò per poterla vivere ancora. Credo che siano migliorate tante cose, altre invece le trovo ancora un po’ ferme lì dove le avevo lasciate un po’ di anni fa.
La malavita è sicuramente ingiustificabile, è distruzione, mancanza di miglioramento, è ideologia meschina e barbara, ma credi che ci sia un sottile confine tra il “voler essere un malavitoso” e l’”essere costretto” in una terra che spesso non garantisce dignità e progresso?
La malavita è inaccettabile e contraria ai valori fondamentali di una società civile. “Voler essere un malavitoso” e “essere costretto” può essere influenzato da tanti fattori, come la povertà, la mancanza di lavoro. In contesti in cui le persone lottano per migliorare la propria situazione, alcune sicuramente percepiscono la criminalità come un mezzo per ottenere ciò che ritengono necessario. Affrontare il problema significa creare delle vere opportunità promuovendo un ambiente che favorisca la dignità e il progresso, allontanando così anche semplicemente il pensiero di ricorrere alla malavita come unica alternativa. Anche la cultura, in questo caso il cinema, può essere utilissima.
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Ed ecco Giulia Lippolis, che ringrazio già da ora per avermi concesso un po’ del suo tempo. Il regista Zizzo si è subito espresso dicendo “Giulia è una felice scoperta nelle riprese di questo film”.
Interpreti Silvia, una ragazza che nella sua ingenuità si è ritrovata coinvolta in una storia più grande di lei; sei entrata nei suoi panni e hai contribuito alla produzione di questa opera. Hai incontrato difficoltà durante le riprese?
(Lippolis) Innanzitutto, grazie a voi per questa intervista; Silvia, il personaggio che interpreto, non ha un percorso particolarmente fortunato. Forse l’ingenuità, forse i limiti culturali e sociali della realtà che il film cerca di raccontare, la portano a commettere più di qualche passo falso.
“Cani Randagi”, come ha detto Alessandro, è un film corale e questo per me vuole sintetizzare come io abbia avuto la fortuna di essere sempre accompagnata da un bel gruppo di persone, dal cast all’aiuto regia, che mi hanno sostenuto lungo tutto il percorso evitandomi tante difficoltà.
A tal proposito, ricordo col sorriso le riprese di una scena in cui rimetto. Nel film magari durerà pochi secondi, per me è durata molto di più. Esigenze tecniche e cinematografiche ci hanno costretto a girarla più volte fino a che l’istinto di rigurgitare non mi è venuto quasi naturale.
Come è stato farsi guidare nelle riprese dal regista Zizzo? Sei giovanissima, sei al tuo primo ruolo o hai avuto altre esperienze? L’opportunità di recitare in “Cani Randagi” ti porta a pensare di continuare nella recitazione, è il tuo mondo?
Ho avuto la fortuna di essere stata guidata da Alessandro fin da piccola. In qualche occasione, nel corso della mia infanzia e della mia adolescenza, ho partecipato ad alcuni dei suoi corti. Questo è stato il mio primo lungometraggio ed è stato molto divertente “riapprocciarsi” a questo mondo con quel po’ di maturità che posso dire di avere oggi. Forse non so dirti se questo è proprio il mio mondo, ma sono certa che farò il più possibile tesoro dell’esperienza vissuta e sarebbe sicuramente bello e interessante avere altre opportunità di questo genere e accrescere tale esperienza.
Di questa esperienza artistica, qual è il messaggio che ti è rimasto di questa storia e che vorresti trasmettere agli spettatori?
Di questo film porto con me l’immagine di una terra bellissima come poche, ma con i suoi problemi, come le altre… quindi il messaggio che vorrei si diffondesse è che è importante riportare il passato alla luce, per fare chiarezza, accumulare consapevolezza, impegnarsi ad amare davvero questa terra perché nonostante tutto è il posto in cui siamo nati e cresciuti. Spero davvero che il film piaccia agli spettatori.
Ai lettori di Paesituoi.News non ci resta che rinnovare l’invito a vedere il film al cinema. Colpi di scena inaspettati, interpretazioni eccellenti. Resterete piacevolmente sorpresi.
